Chi sono i veri professionisti del poker?

Tra le domande che più ritornano all’interno dei discorsi tra giocatori di poker, una di quelle a cui è più difficoltoso dare una risposta è senza dubbio il quesito che fa capo alla definizione di “Professional Poker Player”.

 

 

Chi è da considerarsi un mero professionista del tavolo verde? Chi bluffa? Dove sta il limite tra professionismo e gioco amatoriale?

 



Da più parti, non senza una buona parte di ragionevolezza, viene considerato giocatore di poker professionista chi vive di questo gioco senza avere la necessità di usufruire di entrate altre che siano di ausilio per sbarcare il lunario.

 

A questa prima definizione sarebbe utile inquadrare questo tipo di attività in un lasso di tempo congruo che contestualizzi una certa continuità dell’attività stessa.

Parrebbe tutto sommato ridicolo assegnare i crismi del professionista ad ogni singolo giocatore che attraversa un anno dorato e centra qualche importante risultato che non ha la certezza di avere un seguito.

 

Qui le strade cominciano a divergere con una certa importanza: chi parla di un paio di anni, chi di 5, chi si rifiuta di considerare professionista un giocatore che non rimane sulla cresta dell’onda per almeno due lustri.

 

Poi ci sono gli intransigenti che parificano una vita lavorativa “normale” a quella del pokerista e che non considerano per niente al mondo un “semplice gioco”, una professione.

 

Ma qui entrerebbero in campo davvero tante funzioni, come il tempo giornaliero da dedicare a tale lavoro, gli aspetti fiscali e previdenziali che variano a seconda del luogo in cui si vive, gli stili di vita ecc. ecc., tutte cose che andrebbero rapportate alle situazioni soggettive di ognuno di noi.

 

E in tutto questo discorso appena esposto, che tipo di valenza si può assegnare alle cifre vinte, seppur non in maniera continuativa?
Esiste un limite quantitativo economico che possa aiutare a riconoscere il vero professionista di poker?

 

Probabilmente anche qui sarebbe il caso di fare qualche distinzione, anche in considerazione del modo in cui quelle vincite saranno impiegate per l’attività futura.
Parrebbe abbastanza ovvio ad una prima analisi che il famoso “one shot”, quello che arriva una volta sola nella vita e che non dà origine ad una carriera successiva, non possa parimenti essere considerato come viatico al professionismo.

 

E infine, ultima della lista ma probabilmente importante almeno quanto le altre voci, per riconoscere un vero professionista, ci sarebbe da tenere in considerazione la gestione del bankroll, una capacità che pochi giocatori sanno maneggiare con perfezione e forse è proprio questa capacità a fare da spartiacque tra chi ha interesse a fare il pokerista per lavoro e chi, invece, lo farà per diletto, o, peggio, lo farà male.

 

     

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