
Chi noi non si è concesso uno "shot" nella vita?
Una partita cash un po' più alta del solito, una semplice trasferta per provare il brivido del live o un torneo dal buy-in impegnativo. Il motivo per cui ogni tanto si alza la posta è sotto gli occhi di tutti e non bisogna ricorrere a sofismi per arrivarci: affidarci alla fortuna, di tanto in tanto, ci piace.
Per quanto l'esperienza maturata possa illuderci di essere la reincarnazione di Stu Ungar, il Texas Hold'em è quanto di più lontano da una scienza esatta e su un singolo torneo l'elemento aleatorio gioca un ruolo predominante.
Sarà che ci si abitua molto presto alle cose, ma da qualche anno a questa parte i tornei High Roller vanno per la maggiore e un buy-in a cinque zeri ormai non fa più notizia. Pare che i top player mondiali abbiamo trovato il loro habitat naturale proprio in questo tipo di eventi. Eppure non tutti potrebbero effettivamente permettersi di giocarli "in bankroll", specialmente quelli da 100.000$ o più. Insomma, siamo di fronte ad un branco di scriteriati che continuano ad affidarsi alla dea bendata o c'è dell'altro?
Partiamo da molto lontano. Per stessa ammissione di alcuni regular High Roller, questa formula attrare un discreto numero di facoltosi amatori (un caso su tutti il milionario Roger Sipple, avversario di Steve O'Dwyer all'heads-up del PCA High Roller2015) sui quali si può avere una discreta edge.
In secondo luogo i field sono decisamente ridotti, il che diminuisce notevolmente la varianza. Basti pensare a quanto accaduto il mese scorso alle Aussie Million, dove il Challenge da 250.000$ ha potuto contare solamente su 12 partecipanti.
Tuttavia questi due elementi non sarebbero sufficienti da soli a giustificare una spesa che si aggira tra i 200.000 e i 300.000 dollari a trasferta. Ecco quindi che entrano in gioco gli investitori. La maggior parte, se non la quasi totalità dei regular High Roller, ha alle spalle uno o più investitori che coprono totalmente o parzialmente il costo di ingresso al torneo. Inoltre è buona norma tra gli stessi giocatori scambiarsi qualche quota, senza per questo che la loro condotta al tavolo risulti alterata.
Tra investitori e quote scambiate quindi, la maggior parte dei top player ammortizza sostanzialmente le perdite e si regala la possibilità di centrare un "big shot". Un risultato che potrebbe dare una spinta in più alla loro carriera sia in termini economici che di visibilità e prestigio, due elementi da non sottovalutare in ottica "sponsorship".
Allarme rientrato quindi, anche se per assurdo un pizzico di follia rimane: ogni giocatore infatti deve necessariamente pensare di poter avere "edge" sul field in modo da giustificare l'ingente costo di iscrizione. Ma quando si tratta del gotha del poker mondiale parlare di reali vantaggi sugli avversari pare davvero un'assurdità. Eppure, nella testa di ognuno di loro risiede necessariamente la convinzione di poter disporre di un'arma in più da tirare fuori al momento opportuno. Che sia vero o meno poco importa. Questa, in fondo, è un po' la magia del gioco.