
Il Main Event si è concluso e Qui Nguyen ha beffato tutti sul più bello portandosi a casa ben otto milioni di dollari. Il pro di Baccarat, sempre che ne possa esistere uno capace di fare profitto senza ricorrere a qualche sotterfugio (vedi Phil Ivey e il caso Borgata), ha messo tutti in riga sfoggiando un'aggressività d'altri tempi.
E infatti è proprio da questo elemento che vogliamo cominciare: a rivedere l'action svoltasi nella sala principale del Rio, la sensazione è stata quella di esser tornati indietro di qualche anno. O forse no. La verità è che negli ultimi anni siamo stati abituati a vedere dei tavoli fin troppo tecnici, complice la grande diffusione degli High Roller che nella maggior parte dei casi vantano fior fior di professionisti, gli stessi che ci mostrano i loro sottili ragionamenti in diretta tv alla Global Poker League.
Stavolta però al final table delle WSOP c'erano dei giocatori 'veri'. Non degli astuti calcolatori e nemmeno dei talenti inarrestabili, ma semplici giocatori, alcuni più preparati di altri ma ciascuno con i suoi punti di forza. La vittoria di Nguyen è emblematica perché sulla carta non era affatto il più preparato al livello tecnico, ma è stato probabilmente l'unico a voler vincere sul serio il torneo.
Lo si è capito sin dalla prima mano, nella quale si trova a 4-bettare con A-4 off suited sulla 3-bet di Josephy, mostrando una determinazione superiore a chiunque altro al tavolo. Nguyen ha attuato uno stile grezzo, rude, spigoloso, ma efficace. Si è trovato in difficoltà in alcune circostanze proprio per via della sua attitudine al rischio, ma ne è sempre uscito a testa alta. Come nella fase 3-handed, nella quale la pancia prende il sopravvento sulla ragione e si trova a chiamare l'all-in di Josephy con un Asso dominato dalla Dama del pro americano. Risultato? Meno 50 milioni di chip. Soluzione? Forzare la mano nelle due mani successive e riprendersi il maltolto. Check.
Nguyen è l'espressione del giocatore medio che tutti noi incontriamo sovente al tavolo da poker. Gli piace terribilmente giocare, non molla facilmente i colpi e risulta illeggibile proprio perché in grado di portare avanti una linea con coerenza e sangue freddo proprio quando ai nostri occhi pare che quella volta 'ce l'abbia per davvero'.
La grande preparazione tecnica di Gordon Vayo si è sciolta come neve al sole perché, alla fin dei conti, non ci ha messo abbastanza cuore. Troppo attendista in certi frangenti, troppo conservativo in altri. Sarebbe stato fantastico poter assistere ad uno scontro Kassouf-Nguyen al tavolo finale: entrambi capaci di combinarsela facendo leva su quelle caratteristiche che rendono così speciale il gioco live.
Josephy ha fatto il suo dovere, mostrando tutti i limiti di un gioco che non si è evoluto di pari passo con le tendenze del momento. Player solido e bilanciato, Cliff ha peccato in intraprendenza: troppo poca per poter ambire al braccialetto dei sogni. Gli unici esempi di giocatori 'moderni' provenivano da Ruane e Hallert, entrambi relegati ai margini del podio e limitati da uno spazio di manovra mai sufficiente a far sentire la loro voce. Benger, Wong e Pons partivano con gli sfavori del pronostico e, complice la grande pressione piscologica di un evento come il Main WSOP, hanno rispettato le attese. Fortuna o sfortuna poco importa, nessuno di loro ha mostrato quella cattiveria necessaria a fare la differenza.
L'unico a provarci è stato Ruzicka, nel modo peggiore possibile e contro l'unico avversario che non si sarebbe mai inventato nulla per nessuna ragione al mondo: Gordon Vayo. Il suo bluff su tre strade è davvero brutto da vedere, da pensare, da immaginare, figuriamoci da mettere in atto al tavolo finale più importante della vita. Lui però, almeno ci ha provato, Nguyen invece non ha pensato nemmeno per un minuto di non poter vincere. E ha avuto ragione lui. Non passerà certo alla storia come la rivelazione del poker mondiale, ma intanto ha fatto suo un sogno che in tanti tengono ancora chiuso nel cassetto.