L'attesa per il final table del Main Event è appena cominciata, mentre l'Italia del poker incrocia già le dita per il nostro portacolori Federico Butteroni, il secondo "november nine" azzurro della storia. Il player romano dovrà gestire al meglio i suoi 15 big blind, sperando di trovare subito un raddoppio per poter ambire ai gradini più alti del payout.
Chi invece dovrà cercare di non dilapidare la fortuna accumulata è il chipleader del torneo, Joe McKeehen, che ritornerà a novembre con circa il 33% delle chips in gioco. Un bottino niente male per il giovane statunitense, che a conti fatti risulta essere il più cospicuo mai raggiunto da un giocatore al final table del 'Big One'.
Già, perché con oltre 150 big blind a disposizione e uno stack superiore al doppio del secondo in classifica, McKeehen ha frantumato i record precedenti relativi agli ultimi dieci anni. Mai nessuno era riuscito nell'impresa di giungere al tavolo finale con un vantaggio tale, nemmeno Darvin Moon che nel 2009 mise da parte circa 245 big blind pur disponendo del 30,2% dei gettoni totali, e nonostante ciò non riuscì a portare a casa il braccialetto.
Per capire meglio come ci si può sentire a dover gestire una situazione simile, avendo la possibilità di mettere le mani sul torneo più ambito al mondo e con tutta la pressione psicologica che ne consegue, abbiamo chiesto un parere al nostro Eros Nastasi:
"Quando vinsi l'IPT di Sanremo nel 2011 – racconta Eros – arrivai al tavolo finale con uno stack molto simile a quello di McKeehen. Poter disporre di un tale vantaggio in queste circostanze costituisce un fattore psicologico fondamentale, che garantisce un approccio più 'rilassato' al tavolo. Affrontare un final table da chipleader in un torneo così importante è sicuramente utile a scaricare la pressione sugli altri giocatori, che per forza di cose dovranno affrontare la partita in un altro modo".
Tranquillità insomma, ma fino ad un certo punto: "Perché essere in testa non significa avere la possibilità di concedersi troppo e commettere degli errori, come è successo lo scorso anno a Jorryt Van Hoof che ha chiuso in terza posizione. Per esperienza personale posso dire che non bisogna farsi prendere dalla 'foga', aggredendo eccessivamente gli avversari nel tentativo di far pesare il proprio stack. Occorre affrontare la partita al meglio, sfruttando i tanti big blind a disposizone che risulteranno fondamentali in alcune circostanze, senza mai perdere di vista il fatto che ci si trova al final table del main event WSOP".
La storia recente ha dimostrato che partire in testa non significa necessariamente arrivare per primi in fondo al traguardo: soltanto Greg Raymer, Jamie Gold, Jonathan Duhamel e Jesse Sylvia riuscirono a conquistare il braccialetto da chipleader. Proprio a riguardo Eros predica la dovuta cautela:
"Penso sia sbagliato sentirsi già la vittoria in tasca. Il torneo è tutto da giocare e anche il nostro Federico che arriverà soltanto con 6 milioni di chip potrebbe essere protagonista di un rush fenomenale, trovandosi a combattere per il primo posto. Con quello stack è possibile mettere pressione agli avversari, ma senza concedere troppo il fianco e viaggiare eccessivamente con la fantasia, pensando di aver vinto ancor prima di sedersi al tavolo".