E’ proprio vero che al tavolo il silenzio è d’oro?

L’eterna lotta tra il bene e il male, chi “trash talka” senza ritegno, chi mantiene un atteggiamento equidistante tra i due eccessi e chi invece non transige, osserva silente.

 

 

Stiamo parlando, ovviamente, delle categorie di giocatori che, durante i loro tornei di poker live, decidono di impostare una strategia basata essenzialmente sul modo di porsi verso gli altri.

 

Dan Harrington e Mike Caro, nel momento della loro massima produzione letteraria, parlavano di “assassini silenziosi e rumorosi”, entrambe categorie molto forti nell’accentrare i loro punti di forza in questa o in quell’altra strategia, con un punto fermo: mantenere fede totale e incondizionata verso il proprio modus operandi.

 

Già all’epoca non mancavano gli esempi di illustri rappresentanti delle due fazioni opposte.

 

Da una parte già decine di anni fa facevano “parlare del loro parlare”, personaggi che hanno scritto e riscritto la storia del poker moderno: Amarillo Slim Preston, il giovane Phil Hellmuth, l’ancor più giovane Mike “the mouth” Matusow.

 

Leggendari rimangono impressi nelle nostre menti gli scontri verbali tra questi protagonisti, senza dimenticare l’innesto di altri mostri sacri della specialità arrivati in un’epoca immediatamente successiva, si pensi ad esempio a Tony G. Guoga.

 

Un pochino meno casinisti, ma molto efficaci nella loro costanza, ci sentiamo di inserire giocatori come Gus Hansen, Greg Raymer e Daniel Negreanu, anche se quest’ultimo, lo ammettiamo, è stato difficilissimo non inserirlo nel primo gruppo.

I tre appena citati hanno sempre dimostrato di sapere tenere un discorso al tavolo verde senza mai farsi intimorire dalle schermaglie dialettiche altrui. comunque nel rispetto verso i veri e propri taciturni

Fanno parte invece della categoria “assassini silenziosi”, tutti coloro i quali ci hanno deliziato solo ed esclusivamente con le loro giocate e non possiamo certo non annoverare tra questi, gente come Doyle Brunson, Chris Moneymaker, Phil Ivey e Barry Greenstein.

 

E per quanto riguarda gli italiani?

Contrariamente alla nomea che l’italiano medio si è costruito nel corso degli ultimi 100 anni, il gotha del poker italiano si è distinto ultimamente soprattutto per i risultati ottenuti oltre confine, più che per il rumore o le parole proferite al tavolo.

 

Dario Sammartino, Mustapha Kanit, Max Pescatori, Rocco Palumbo, Raffaele Sorrentino e, più recentemente Gianluca Speranza, che ha sfiorato il braccialetto WSOPE in quel di Rozvadov, più una buona parte di tutta la schiera dei pokeristi italiani più titolati, hanno più di una volta dimostrato di riuscire di farsi strada con la mera forza dei risultati piuttosto che con quella del trash talking.

 

E voi? A quale categoria appartenete?

 

 

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