Il ruolo del professional poker player ha assunto anno dopo anno delle sfaccettature sempre diverse. Fino ai primi anni del terzo millennio c’era sempre stata una coltre particolarmente densa e poco chiara, se non altro per la cattiva informazione che si faceva sul mondo del poker e del gioco d’azzardo in generale. Ma nel 2003, qualcosa è cambiato in maniera talmente radicale e improvvisa da travolgere tutti.
Il merito è di una persona in particolare: Chris Moneymaker. Nessuno avrebbe mai pensato che un giocatore occasione, capace di accedere a un torneo da 10mila dollari di buy-in grazie a un evento di qualificazione da una manciata di “verdoni”, avrebbe shockato il mondo. Chris ci riuscì, in quella edizione del Main Event delle World Series of Poker divenuta leggendaria. Anche perché da allora cambiarono tante cose.
Moneymaker, nel giro di pochi mesi, passò dall’essere un perfetto sconosciuto al trasformarsi in un modello. Tanto da diventare ambasciatore di una nota poker room. Lo stesso Chris ha ricordato i tempi in cui stipulò l’accordo: “Quando ho firmato, non esisteva il concetto di ambasciatore. Tom McEvoy era l’unico che avesse un deal, ma francamente non ho idea di quale fosse il suo ruolo. Nel primo anno non feci praticamente niente. C’erano forse tre o quattro tornei, poche show in tv. In pratica mi pagavano per non fare niente, solo vestire una patch. Peccato che non ci fossero occasioni per vestirla”.
Poi, pian piano, le cose sono iniziate a cambiare. Anche perché il poker diventava sempre più popolare e soprattutto veniva sdoganato in giro per il mondo: “Negli anni hanno cominciato a spuntare un sacco di tornei e show in tv, qualsiasi cosa. All’epoca, essere ambasciatore significava essenzialmente vestire la patch, rappresentare il sito, fare interviste e giocare. Tutte cose che avrei fatto comunque, perciò per me non era proprio come lavorare: dovevo semplicemente essere me stesso”.
E anche il ruolo dell’ambasciatore è cambiato in maniera radicale. Anche perché le poker room hanno aperto le porte delle proprie società non solo a giocatori professionisti, ma anche a veri e propri testimonial provenienti da altri mondi, come lo sport o lo spettacolo. “All’inizio tra gli ambasciatori c’eravamo solo io, Joe Hachem e Greg Raymer. Improvvisamente siamo arrivati a quasi 100. Era un andirivieni di persone, a volte non facevo neppure in tempo a conoscerle. Non facevo in tempo a svegliarmi, che spuntava un nuovo pro”.
Ma veniamo ai giorni d’oggi, in cui il ruolo dell’ambasciatore o testimonial ha assunto una veste ben diversa. E ne è consapevole lo stesso Moneymaker, che dopo 17 anni ha lasciato questo ruolo: “Oggi il ruolo dell’ambasciatore non è più lo stesso. Io sono un po’ un unicorno, perché non streammmo, ma per essere un ambasciatore oggi devi essere uno streamer o fare cose del genere, perché non ci sono abbastanza opportunità di essere in tv. Il vero modo per ottenere un ruolo di ambassador è diventare un qualche tipo di streamer, o essere una personalità che può attirare gente fuori dal poker”.
E poi c’è una specie di avvertimento per il futuro. Chris Moneymaker sta per tornare: “Ho ricevuto tante telefonate e ho risposto ad alcune, perciò sì: presto mi vedrete di nuovo in pista”.