Gli Stati Uniti stanno continuando a lottare contro un nemico invisibile, che ha già causato migliaia di vittime e milioni di casi di contagio. Il Coronavirus sta mettendo in ginocchio di fatto una nazione intera, e con essa la sua economia con alcune parti forti che stanno cercando di risalire pian piano. Tra queste, ovviamente, c’è anche l’industria del gioco d’azzardo terrestre, con il poker che sta provando a ripartire in maniera lenta ma comunque costante e graduale.

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Le intere settimane trascorse a casa, con il lockdown a farla da padrone in Italia durante la primavera, sembrano ormai un lontano ricordo per noi. E tra i passaggi pokeristici che ci hanno appassionato di più, in quelle settimane in cui il tempo sembrava non passare mai, ce n’è uno che forse un po’ ci manca, nonostante le nostre vite siano tornate gradualmente alla normalità. Stiamo parlando della Phil Galfond Challenge, il grande torneo di heads up organizzato dal campione americano.

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Il Coronavirus continua a rappresentare una minaccia dalla quale non riusciamo ancora a liberarci. E ancor di più si sta affrontando con la massima attenzione negli Stati Uniti, dove l’emergenza sanitaria non accenna a placarsi. E come abbiamo avuto purtroppo modo di vedere, anche il mondo del poker è stato colpito direttamente da questa pandemia. Non solo con la chiusura di casinò e poker room – con il conseguente annullamento dell’intero calendario live – ma anche con vere e proprie tragedie.

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Le World Series of Poker più pazze della storia continuano dai pc e da tutti i dispositivi in giro per il mondo (ricordiamo che in Italia NON possono essere giocate). Abbiamo celebrato alcuni giorni fa il trionfo di Enrico Camosci, che ha dunque portato a sette il numero di giocatori italiani in grado di vincere un braccialetto. Fermo restando che il ragazzo di Bologna passerà alla storia come il nostro primo connazionale ad aver vinto un titolo alle WSOP online.  

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Il poker live è stato uno dei mercati che ha risentito maggiormente dello stop per via dell’emergenza Coronavirus. Ce ne siamo accorti anche dalle nostre parti, con tutti i casinò che sono stati costretti a chiudere i battenti per diversi mesi prima di avviare una timida ripartenza. Ma sono stati in particolare gli Stati Uniti a pagare un prezzo davvero carissimo. Soprattutto una località come Las Vegas, che di fatto ha nel gaming e nel gioco d’azzardo il proprio mercato principale.

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